«Io sono parte di tutto ciò che ho letto»

la chiave di lettura

[La fonte – una delle fonti – è qui].

Questa citazione di Roosevelt (Theodore) sembra un buon viatico. Subito ci rimanda all’indissolubile legame tra lettura e vita, alla capillare presenza delle letture nelle relazioni umane, al fatto che, shakespearianamente, siamo fatti della stessa sostanza delle nostre letture. C’è un po’ di mistico, un po’ di pedagogico, molto di biologico (io respiro, dunque leggo), ma in Roosevelt doveva essere più che altro un richiamo alla propria formazione e alla propria esperienza. Nulla di proustiano, nulla che assomigli, nonostante l’apparenza, a “Ogni lettore, quando legge, legge se stesso“.

Superato l’io iniziale, sempre un po’ ingombrante, anche se necessario, l’orecchio mentale avverte l’articolo indeterminativo ignorato o sottinteso nella usuale traduzione italiana ma presente nell’originale (“I am a part of everything I have read”). Ecco che il corpo mistico scompare e in primo piano emerge il senso della partecipazione: nulla di ciò che si legge mi è estraneo. E subito incombe il rapporto tra l’infinitamente piccolo (il lettore, l’io del lettore) e l’infinitamente grande (la biblioteca, l’universo del leggibile). Io sono (solo) una parte di ciò che ho letto (figuriamoci di ciò che non ho letto). Modestia e rispetto, ma anche senso di insignificanza e angoscia. Le proporzioni sono schiaccianti. “Voi siete in tanti a scrivere, ma io sono uno solo a leggere” (Troisi). Eppure è da qui che bisogna partire, ed è bello avere il mondo da squadernare davanti a noi.

E poi volete mettere la soddisfazione di sentire un presidente parlare di lettura? Addirittura dichiarare di essere “parte” di ciò che ha letto? Essere parte vuol dire anche essere di parte, e i lettori sono partigiani. Sembra fantascienza, ma è storia. E anche noi, nel piccolo, siamo parte di questa storia. Dalla parte di chi legge.


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