«Far nascer leggendo l’alta maraviglia»
la chiave di lettura
La fonte: Lodovico Ariosto, Orlando furioso, IV, 17. E l’Orlando furioso raccontato da Italo Calvino, loc. 673 e segg. dell’edizione elettronica.
Come tutto il Furioso, la scena del combattimento tra il mago Atlante e la valorosa Bradamante ha un significato letterale e uno metaforico, che può essere rintracciato, come ha indicato, tra gli altri, Gabriella Mongardi, nella lotta tra autore e lettore per il controllo del testo. Atlante, subdolamente attratto da una messa in scena dell’abile guerriera (di questi trucchi autori e lettori sono esperti), esce allo scoperto sul suo ippogrifo. La sua arma principale è un libro, da cui, appunto, “facea nascer leggendo l’alta maraviglia”, ossia la fantasmagorica serie di magie capaci di scatenare una gragnuola di colpi sull’avversario senza bisogno di muovere un dito.
L’episodio ariostesco ha però un significato evidentemente più profondo (confermato dall’affiorare della tematica del rapporto tra autore e lettore in molti altri punti del poema). Che Atlante combatta leggendo, tanto per cominciare, ossia che sia sufficiente per lui leggere per scatenare una tempesta immaginifica tale da distruggere il più valente degli avversari, la dice lunga sul potere della lettura. Non è neanche necessario che Atlante lo pronunci a voce alta perché ciò che legge produca il suo effetto. Che non è sempre positivo. L’attuale affascinante cicaleccio sulla biblioterapia, che potrebbe essere musica per le nostre orecchie, non riesce a cancellare la coscienza che è di guerre e battaglie che viviamo leggendo, anche quando edulcorate e beneducate, e che Atlante, una volta privato del suo volume bellico, appare un povero vecchio inerme: “avea lasciato quel misero in terra / il libro che facea tutta la guerra”.
È comprensibile che Savater (p. 124) dichiari la sua libresca simpatia per lui, ma non si può dimenticare che nel gioco continuo delle parti che caratterizza il duello e ciò che segue, è Bradamante che riveste il ruolo della lettrice armata e che risparmia generosamente la vita all’avversario, pagandone più avanti amare conseguenze. I due guerrieri, in realtà, Ariosto lo dice benissimo, sono due simili che si combattono in nome dello stesso amore (Ruggiero, il testo?).
Che, appunto, la scena della lettura non sia un pranzo di gala o un irenico quadretto da diporto, ce lo hanno spiegato molto bene Ricoeur (p. 261) e Jacobus (pp. 38-47), da diversi e convergenti punti di vista, e ce lo conferma il poema ariostesco. Biblioterapeuticamente parlando, siamo a zero, nel Furioso. Da quella prima disfida, in cui l’anello vince il libro, non si ha che una mirabolante sequenza di duelli e (apparenti) insanie. Infatti all’Ariosto non interessa tanto il bene, quanto il fantastico. Se poi coincidono, tanto meglio.
E dunque anche la bussola del discorso pubblico sulla lettura deve puntare al mix indicato nel verso di Ariosto: la nascita e la meraviglia, ossia la compresenza di due situazioni liminari, entrambe di passaggio. Un big bang, insomma, che rende la lettura qualcosa di improbabile e miracoloso come un tempo si pensava la vita nel cosmo. La nascita della lettura, nella vita sociale come in quella individuale, appare un discrimine non eludibile. Prima di tutto perché leggere è sempre “venire al mondo“. E poi perché vedere la lettura dal lato della nascita, piuttosto che da quello dell’efficienza, della volontà di sapere, del sapere di potere, cui si affida Atlante, è un passaggio necessario per metterla in posizione antipodalica, ossia con i piedi ben piantati in aria. E le radici aeree della lettura sono quelle che producono l’effetto stuporoso. Dal giorno in cui dei segni illeggibili tracciati su un quaderno o su un libro hanno preso improvvisamente significato, la lettura non può essere separata dalla meraviglia. E dalla curiositas che continuamente la alimenta. Ogni riferimento al lettore dei lettori, Alberto Manguel, è fortemente voluto.
Sussurro queste divaganti osservazioni con consapevole scetticismo nel mentre viene approvata alla Camera una proposta di legge di cui molto si dovrebbe discutere e su cui invece è già scesa la plumbea corazza dell’unanimismo retorico. La sventola propagandisticamente un governo del boh la cui sottosegretaria ai beni culturali dichiara con nonchalance di non leggere un libro da tre anni. Tutto ciò, purtroppo, non meraviglia. La scarsa immaginazione dei politici e la ridondanza normativa dei legislatori sono note da tempo, e sembra quasi ingeneroso attribuirle solo agli ultimi in ordine di tempo. Ma sorprende sempre la perseveranza, e la noncuranza, dell’errore.
Occorrerà leggere nonostante (tutto) per ritrovare l’alta maraviglia.
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