Per la critica della Legge

ovvero lettera aperta ai suoi sostenitori indipendenti e soprattutto ai lettori che sono indipendenti per natura

Sit-in di lettura a Milano
Sit-in di lettura a Milano 21-10-2012

Commenti al post: vedi il commento di Samuele Bernardini; la risposta di Luca Ferrieri.

Avvertenza 1: questo intervento dà per scontati i dettagli della legge che trovate meglio illustrati nell’articolo introduttivo di Luigi Gavazzi pubblicato qui.

Avvertenza 2: post lungo, mi dispiace. Mollatelo ad libitum.

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Dico subito che, in questo commento critico alla legge “per la promozione e il sostegno della lettura” recentemente approvata (d’ora in avanti: la Legge), trascurerò, o cercherò di trascurare, perché non sempre è facile farlo veramente, molte cose, soprattutto molte convinzioni aprioristiche anche se rispettabili: per esempio, le riserve di principio che condivido con molti lettori a proposito della promozione della lettura e della possibilità di incidere legislativamente in questo campo così complesso e recalcitrante. Non avrebbe senso infatti criticare una legge dicendo che non serve o non basta una legge, considerazione lapalissiana che credo sia ben presente ai suoi stessi sostenitori (tuttavia questo relativismo, o scetticismo normativo, rinvia a un orizzonte secondo me interessante. Ma, appunto, non lo affronteremo qui).

Non farò neanche l’esercizio con il bilancino dei pro e dei contro, di ciò che c’è e ciò che manca: anche questo è un compito abbastanza sterile, che colpisce sempre qualche bersaglio, anche con le azioni e i testi migliori del mondo, e ci permette di impugnare vittoriosamente la penna rossa della maestrina. Infine trascurerò i doverosi e sinceri riconoscimenti a coloro che si sono battuti e hanno operato per questa legge: so bene quanto il loro lavoro sia stato nobile e faticoso, il loro intento generoso, quanto sia lodevole l’obiettivo di dare all’Italia una legge che non sia solo una legge sul libro, ma una legge che aspira ad essere (e purtroppo non è) una legge sulla lettura.

Cercherò invece di concentrarmi sulla critica (secondo me) necessaria, una critica che ruoterà intorno a un asse, quello più assente nella peraltro scarsa discussione che ha accompagnato la gestazione e la approvazione della Legge: l’analisi dell’impatto economico e culturale, cioè di economia della cultura, di questa legge e dei suoi presupposti ideali e materiali. La mia critica sarà quanto di più fraterno si possa immaginare: per la prima volta mi trovo a criticare non quelli che nella battaglia culturale della lettura considero i miei avversari naturali (ai quali comunque va sempre il mio rispetto) e cioè il mondo della grande editoria, dei “padroni del libro” e del vapore (mai come oggi sono la stessa cosa), dei gestori della cultura pubblica e delle politiche della lettura. La critica sarà questa volta anche e in parte rivolta al mondo dell’editoria e delle librerie indipendenti, un mondo che mi è caro come i libri che tengo sul comodino, e se talvolta la critica ad esso diretta, per il sostegno acritico e incondizionato fornito a questa Legge, apparirà eccessiva è solo per la forse eccessiva considerazione che ho della loro importanza e del loro ruolo.

Ma adesso basta premesse e andiamo al sodo.

Questa Legge è una legge che pensa di poter affrontare il campo della lettura ancora una volta senza tener conto dei lettori, soprattutto, guarda un po’, dei lettori forti, e dei loro legittimi interessi. Lo so che i lettori non hanno rappresentanze parlamentari, per fortuna, non sono una lobby interessante, hanno scarsa voce collettiva, e quasi sempre si preferisce lisciare loro il pelo e chiedere di accontentarsi di quello che passa il convento. Lo so che i lettori forti stanno antipatici a molti. Però se uno fa una Legge sulla lettura non può tener conto solo dei librai, degli editori, degli autori, delle biblioteche (quest’ultime poco o niente, fra l’altro). Nella cosiddetta filiera del libro i lettori non esistono, se non come clienti, ma questa Legge riesce a inimicarseli anche come tali. Qui bisogna per forza partire dalla scontistica. Lo so che molti sostenitori della legge si inalberano per la centralità data a quest’aspetto nella discussione, ma è colpa della Legge, che concentra le sue misure effettive su questo campo (il resto come si vedrà sono per lo più indicazioni generali che rinviano a successivi provvedimenti). I sostenitori dicono anche che il prezzo del libro non può spiegare la scelta di leggere o di non leggere e mi fa piacere sentirlo, perché per lungo tempo abbiamo ascoltato invece lezioni sul prezzo che ricalcavano l’impostazione zdanovista sul rapporto tra struttura e sovrastruttura: se il libro costa poco (come i famigerati millelire di Baraghini o le spesso mal tollerate edizioni tascabili) “svaluta” il bene-libro, o è “necessariamente” prova di scarsa qualità; se i prezzi sono troppo alti determinano ipso facto la curva discendente dei lettori, ecc. ecc.

Sicuramente il fattore prezzo è un argomento di comodo quando viene invocato (come ancora succede in gran parte delle rilevazioni statistiche) come motivazione della non-lettura. Siamo andati avanti per anni a considerare vangelo questa foglia di fico, e i primi a farlo sono stati certi uomini della Legge. (Quando uno risponde alla domanda “perché non legge” dicendo che i libri costano troppo, l’intervistatore istat dovrebbe deporre la penna statistica e andare a prendere un caffè con l’intervistato, fare due chiacchiere sul tempo, sulla sua infanzia, sulle sue abitudini, sui suoi consumi, sul suo lavoro e poi crocettare un’altra risposta).

Ma è, invece, un fattore da prendere in considerazione se fate un bilancio del budget del lettore forte. Cosa che sicuramente gli uomini di Legge non fanno. Sì, proprio una lista della spesa. Fate i conti in tasca a questi lettori saputelli. Un lettore forte (per l’Istat) legge dodici libri all’anno. Nella realtà un lettore forte ne legge anche cento (magari non dalla prima all’ultima pagina), e quindi, se li compra (trascuro il fattore biblioteca in questo momento perché ci porterebbe troppo lontano), il 10% in meno di sconto vuol dire dieci libri in meno all’anno. In base al prezzo medio del libro (20 euro nel 2018), sono duecento euro in meno. Ecco, avete fatto la Legge sulla “promozione della lettura” e a questi signori qui avete sfilato dieci libri dallo zaino, senza dire né ai né bai. La Legge lancia questo messaggio subliminale, ma neanche tanto: non importa se i lettori forti potranno leggere dieci libri in meno all’anno, tanto loro sono forti. Leggono sempre, salvo quando sono morti. Leggono i giornali con cui si incartano le uova, quelli per foderare le scarpe, come diceva Acheng, leggono le etichette, i bugiardini, i manuali di istruzioni, e altre cose da tossici come l’alta letteratura. Se non possono leggere libri, che leggano i segnali stradali. I lettori forti non contano niente, non importa che siano tra i principali e fidelizzati clienti e sostengano il mercato con il 10% del loro reddito (100 libri per 20 euro su uno stipendio di 20.000 euro all’anno: i lettori forti non sono i lettori ricchi, eh!) e con acquisti regolari, oculati e intelligenti; nonostante costituiscano uno dei più potenti fattori di esempio, contagio e di promozione della lettura (quella vera). Lo teorizza espressamente Ricardo Levi (presidente dell’Aie) nel criticare, dal suo punto di vista, la Legge: “questa riforma penalizza non il lettore appassionato e forte che compra comunque, ma proprio l’italiano medio che legge pochissimo e che sarà più disincentivato” (si legga qui). Molte grazie, signor presidente, anche a nome dei lettori appassionati.

Comunque, vi diamo una buona notizia, lettori forti, ma non viene dalla Legge: esistono le biblioteche (beh, voi lo sapete già ma sembra che in parlamento la notizia sia meno diffusa). I dieci libri che la Legge vi sottrae potete cercarli lì, se avete esaurito il budget (ecco, una definizione non statistica del lettore forte potrebbe essere questa: legge fino a quando ha esaurito il budget. Poi rilegge). E se li trovate: perché le biblioteche non hanno tutto e faticano ad avere abbastanza. E i libri belli sono spesso fuori in prestito.

Vi diamo invece questa cattiva notizia, lettori di ogni taglia: con questa Legge forse si riuscirà artificialmente a dimostrare quello che da un po’ di tempo alcuni editori, librai e perfino qualche autore, pensano e talvolta dicono apertamente (e che è falso, maledettamente falso: si veda per esempio qui): cioè che le biblioteche fanno concorrenza (sleale?) agli editori e alle librerie, perché danno gratis quello che costa tanto. Con la cultura, si sa, non si mangia e soprattutto non gratis.

L’occasione è proficua per un doveroso distinguo: la mia critica alla Legge non ha quindi quasi nulla a che spartire, nell’impostazione e negli scopi, con quella della grande editoria italiana, rappresentata dall’Aie e dal suo presidente. Il quale era stato anche il firmatario della legge precedente, la 128/2011, che non differiva molto da quella attuale, in quanto a scontistica, se non nella percentuale (15% sconto massimo contro 5% attuale). La legge Levi era stata subito battezzata legge “ammazza sconti” o “legge contro Amazon”, come si può vedere dalla voce di Wikipedia. Quindi il 15% è buono e il 5% cattivo: sembra tutta qui l’opposizione dei grandi editori. Come molti altri, e come l’Aib (Associazione italiana biblioteche) di allora, ero contrario alla legge Levi (non per citarmi né per sfoggio di coerenza, che non è sempre una virtù, ma solo per documentazione si veda qui); oggi mi sento molto più solo (perché l’Aib è favorevole quasi con gli stessi toni trionfalistici dei librai indipendenti), ma credo spetti agli altri motivare il loro cambiamento di opinione. Anche questa Legge viene presentata come una “legge contro Amazon” (nessuno che si chieda come mai non era bastata la prima, di legge, a far sparire Amazon dall’orizzonte). Come se fosse poi una cosa molto sensata fare una legge contro Amazon o contro l’Esselunga, e soprattutto come se la posizione dominante conquistata da Amazon fosse dovuta solo agli sconti e non magari anche al fatto che il suo catalogo ha milioni di titoli pronti ad essere recapitati la mattina dopo nella nostra casella postale, mentre in Italia ci sono 3.000 comuni senza una libreria (che quando c’è, spesso è una cartolibreria) e quasi altrettanti senza biblioteche, specie nel centro-sud. Molto furbescamente Amazon non si è pronunciata sulla legge anti-Amazon: ci guadagnerà comunque.

L’occasione è doverosa per un altro proficuo distinguo. La mia critica alla Legge non ha, infatti, quasi nulla da spartire nemmeno con l’opposizione di stampo liberista, basata sull’argomento che il mercato sarebbe in grado di autoregolarsi e che qualunque intervento sul prezzo di un bene sarebbe una lesione dei sacri principi della concorrenza, peraltro stracciati quando pare e piace. Così, anche se apprezzo, nel silenzio unanimistico che circonda la discussione sulla Legge (approvata in modo plebiscitario dal più rissoso dei parlamenti) i pochi interventi contrari, come quello di Serena Simeoni e Carlo Stagnaro, dell’Istituto Bruno Leoni, non posso certo dire di essere d’accordo sulla loro impostazione. Io non sono affatto contrario per principio all’intervento dello stato nell’economia, nemmeno alla politica del prezzo fisso (per il libro), pur non condividendo l’alone salvifico di cui certi librai l’hanno circondato. Sono contrario però alla politica dello sconto fisso con il prezzo di mercato, soprattutto se a suggerirlo e a beneficiarne sono quelli che fanno i prezzi, li gonfiano e li sgonfiano a volontà. Il prezzo fisso non è un prezzo calmierato, può anche essere un prezzo esagerato!

Come tutti sanno, c’è libro e libro; ci sono i bestseller costruiti a tavolino e i longseller creati dai lettori; ci sono i libri prepagati, da banche, enti e sponsor, ci sono i libri degli APS (autori a proprie spese) e soprattutto degli APS nascosti dietro marchi appariscenti ma compiacenti; ci sono libri di professori universitari che li mettono e li fanno mettere nei programmi d’esame; come tutti sanno, se sei un esordiente vai da un editore a proporre la pubblicazione di un libro ti senti sempre rispondere con il comma 22 dell’editoria, per cui non si possono pubblicare libri di chi non ha ancora pubblicato. Come tutti sanno, l’editoria italiana ha cercato di affossare, e in parte c’è riuscita, il nascente mercato del libro digitale, imponendo prezzi assurdi per edizioni digitali senza costi di distribuzione e senza neanche un porting dignitoso (non dico una vera edizione digitale, capace di valorizzare le specificità, le capacità di ricerca, i valori aggiunti del mezzo digitale). Come non tutti sanno, l’editoria italiana ha imposto alle biblioteche un regime di prestito digitale, per cui le biblioteche, che già non riescono ad acquistare i libri su carta, debbono pagare quelli digitali enne volte tanto, un tanto per ogni prestito, perché le biblioteche, oltre che concorrenti, sono considerate pirati in pectore. Signori liberisti, non parlatemi di libero mercato, per favore.

Ma devo dire anche ai sostenitori del prezzo e soprattutto dello sconto fisso e minimo: avete verificato se questa formula funziona? se porta i risultati desiderati? A me sembra di no. Anche nei paesi dove la politica del prezzo fisso è praticata più seriamente che da noi, e dove c’è un’organizzazione bibliotecaria più forte, come in Francia o in Germania, non ci sono prove decisive che il sistema produca tutte le meraviglie che decantano i nostri amici librai indipendentisti. C’è stata una flessione del prezzo di copertina indotta dal prezzo fisso? Non mi pare. C’è stato un rilancio delle librerie? Ne hanno beneficiato le biblioteche? C’è stato un miglioramento della qualità editoriale? Ci sono stati aumenti di lettura correlabili alle politiche di prezzo? Ma per non andare tanto lontano: dall’entrata in vigore della legge Levi (2011), che era una legge di stampo protezionistico, anche se cercava di nasconderlo, ci sono stati dei miglioramenti in questo senso? Dal 2011 al 2016 hanno chiuso 2038 librerie in Italia (fonte qui).

Ma allora quali sono gli altri punti critici della Legge? Siccome sono stato prolisso sulla parte economica, dovrò procedere più rapidamente su questi (è sempre la Legge che costringe a questo: è manifestamente una legge sugli sconti, che però sontuosamente si intitola “Disposizioni per la promozione e il sostegno della lettura”: e i suoi sostenitori ad ogni accenno di discussione si sbracciano dicendo: “ma non parlate solo dell’abolizione degli sconti! parlate d’altro!”). Parlando d’altro, andrò per punti:

  1. oltre ai lettori, grandi assenti dall’impianto legislativo sono le biblioteche. Sono come i lettori forti, esistono già, perché bisognerebbe occuparsene? Certo, per fortuna si concede che esse siano esonerate dal tetto sugli sconti (già abolito dal “Decreto cultura” del 2013). Si parla poi di biblioteche scolastiche, ma solo per la formazione, non essendo chiaro per chi e come, visto che una buona parte delle difficoltà delle biblioteche scolastiche, oltre a quella degli scarsi finanziamenti, deriva proprio dall’inesistenza della figura professionale del bibliotecario scolastico. Si chiamano ancora in causa le biblioteche quando si intende addossar loro nuovi compiti senza coperture di spesa, come “nell’istituzione di un circuito culturale integrato per la promozione della lettura” (art. 2 lettera f), nei “patti locali per la lettura” (art. 3), per farle collaborare con le biblioteche scolastiche (art. 5), ecc. Ma siamo ancora molto lontani anche solo dall’intuire il ruolo che le biblioteche potrebbero ricoprire nello sviluppo della lettura, e di molto altro, nel nostro paese.
  2. nell’insieme l’impressione è che, al gran calderone degli obiettivi generali (e generici) del “Piano di azione per la promozione della lettura”, descritti all’art. 2, corrisponda ben poco quanto ad attività strutturali e definite per lo sviluppo della lettura. I fondi stanziati non sarebbero sufficienti per affrontare con interventi significativi nemmeno due o tre degli undici obiettivi elencati, i quali a loro volta in molti casi comprendono attività diverse tra loro. Sembra che più che dar luogo a un programma credibile e scandito da una scelta di priorità, si sia voluto comporre un confuso mosaico in cui non deve mancare niente, dalla lettura condivisa a quella ad alta voce, dai disabili alla lotta alla povertà educativa, dalla bibliodiversità all’ecosistema digitale, dall’interculturalità al sostegno alla lingua italiana (?), eccetera eccetera.
  3. manca invece un provvedimento chiesto a gran voce da lettori ed editori, ossia la detraibilità fiscale delle spese per libri (e solo per quelli non scolastici, a differenza della carta menzionata di seguito al punto 5);
  4. in compenso sono previste misure di sostegno fiscale per le librerie, e questo è sicuramente uno dei punti indiscutibilmente positivi, anche se le modalità e i dettagli (che sono decisivi per avere un’idea del possibile impatto) sono rinviati a un successivo decreto del ministro, come tutte le azioni concrete previste dalla Legge;
  5. la carta per la lettura (analoga a quella già in vigore per i docenti, a parte l’importo, sensibilmente più basso: 100 euro), prevista per famiglie “economicamente svantaggiate” (?), appare il classico pannicello caldo se non peggio;
  6. i patti per la lettura previsti dall’art. 3 hanno già conosciuto una certa diffusione come esercizi di taglia-incolla di un testo standardizzato senza variazioni di rilievo e senza grandi risultati pratici.

Si fa fatica a continuare l’elenco: il resto è veramente solo chiacchiere e distintivo, come la “Capitale del libro”, con uno stanziamento di 500.000 euro, una goccia nel mare ma anche, come testimoniano molte esperienze già fatte, una somma destinata a polverizzarsi in una miriade di interventi a pioggia. O come il “marchio” delle librerie di qualità, ancora assolutamente vago e sempre rimandato al miracoloso decreto, e in cui scommettiamo che ci finiranno un po’ tutte, comprese quelle di catena. Insomma nulla che assomigli a un intervento minimamente strutturale, capace di generare qualche piccola controtendenza, o anche solo di premiare e incentivare le buone pratiche. Il silenzio assordante sull’ebook e sul digitale, replicando anche qui uno dei maggiori difetti della legge Levi, potrebbe forse avere il vantaggio di sganciare l’ebook dal divieto degli sconti, ma anche ciò non avrebbe alcun risultato sensibile (come non l’ha avuto la diminuzione dell’Iva sull’ebook dal 22% al 4%) visto che il prezzo lo decidono gli editori e la piattaforma non fa sconti (salvo quelli civetta voluti dagli editori stessi).

Tra i punti strutturali e organicamente connessi a un discorso sulla lettura nel XXI secolo vi sono quelli legati al digitale, alle literacies, alla qualità e all’innovazione dei servizi, agli spazi per la lettura nelle città, al sostegno ai gruppi di lettura, alla bibliodiversità, alla lotta contro la sempre più forte concentrazione editoriale e il monopolismo di fatto nella distribuzione, alla questione della preparazione e della tutela del personale che lavora nelle reti culturali, ecc. Tutti punti assenti nella Legge, in particolare quello sul lavoro, come se si preferisse ignorare che la cultura e la lettura stessa sono stati uno dei laboratori privilegiati del “fordismo di seconda generazione”: un’ondata di precariato, di lavoro non pagato, in nero, di contratti a tempo determinato, stagionale, mensile; di esternalizzazioni al massimo ribasso, di caporalato culturale e clientelismo politico. Adesso l’Aie denuncia e minaccia la perdita di posti di lavoro in seguito alla Legge, ma forse era meglio pensarci prima. E quanto alla Legge, certo, non si può affrontare tutto, ma nemmeno fare l’ennesimo provvedimento congiunturale e propagandistico e presentarlo come “la” Legge sulla lettura.

Con tutto il rispetto, propongo ai molti librai ed editori indipendenti che stanno già elencando i risultati miracolosi della nuova Legge (se ne trovano un po’ qui), di incontrarci tra uno o due anni, magari su questo sito, per verificare se: 1) i prezzi di copertina sono scesi grazie alla Legge; 2) si è invertita la tendenza alla chiusura delle librerie; 3) Amazon e altri store online hanno perso terreno e le librerie lo hanno guadagnato; 4) si legge (un po’) di più; 5) si sono creati dei posti di lavoro stabili. E soprattutto e fin da subito (ma si doveva farlo prima, molto prima) per sentire cosa ne pensano i lettori di tutto ciò. In fondo sono loro che pagheranno (due volte: come lettori e come contribuenti) questa “riforma”. Mi sembra giusto che sappiano come è andata.

Sull’argomento VEDI ANCHE:
La nuova legge sulla lettura.

4 commenti su “Per la critica della Legge”

  1. Caro Luca,

    Quanto scrivi mi sollecita la riflessione. Sono un vecchio libraio e negli anni ne ho viste di tutti i colori. Tuttavia, guardo ancora il mondo del libro con la speranza che ci si possa incamminare su una strada nuova. Il cammino non ci porterà presto nel paese che sogniamo, ma la direzione presa questa volta mi pare migliore delle precedenti.

    Molte tue osservazioni sono condivisibili: sulla precarizzazione delle professioni nel mondo del libro, sul ruolo delle biblioteche e dei bibliotecari, sulla scuola, ecc. Io però vorrei soffermarmi sulla questione del prezzo di copertina e sulla scarsa o nulla considerazione dedicata da questa legge ai lettori forti penalizzati, a tuo parere, dalla riduzione dello sconto massimo del 5%.

    Il libro è uno dei pochi prodotti (chiamiamoli pure così in questo ragionamento) ad avere un prezzo indicato dal produttore (l’editore). Ma nonostante questo, negli anni si è trasformato, per i soli librai (nota bene), in una sorta di prezzo consigliato, perdendo dunque le caratteristiche di prezzo imposto (dall’editore) e fisso per tutti. Con “tutti” intendo i soggetti legati al libro (la cosiddetta filiera): tutti fanno infatti sempre riferimento al prezzo di copertina per stabilire i rapporti contrattuali reciproci. Gli autori e i traduttori con gli editori, gli editori con i distributori e i promotori, i distributori con i librai. Gli unici soggetti che non possono fare contratti reciproci sono i librai con i propri lettori e lettrici (faccio fatica a considerarli/e clienti).

    In altre parole, l’autore saprà quanto ricaverà dalle copie vendute del suo libro perché è scritto nel contratto con l’editore (una percentuale sul prezzo di copertina). Allo stesso modo lo saprà il promotore e il distributore. L’editore saprà quanto gli resta del prezzo di copertina di ogni copia venduta dopo avere pagato l’autore, il promotore, il distributore e il libraio (o, come si preferisce dire ora, il PV – il punto vendita).

    L’ unico che non lo sa è il libraio (e il lettore). Il libraio non è in grado di stabilire in anticipo un contratto vincolante con i suoi lettori. Non potrà saperlo fino a quando non avrà venduta la copia di quel libro, in quel momento a quel determinato lettore. E l’operazione si ripeterà allo stesso modo tutte le volte che venderà un libro. Tutte le volte, ogni giorno, sarà necessario fare una trattativa diversa per ogni libro con ogni lettore.

    Solo alla fine il libraio saprà che, del suo 30% di sconto medio sul prezzo di copertina, avrà lasciato al fornitore dal 2 al 3% di costi di trasporto e amministrazione e al suo lettore “fino al 15%” con la legge precedente e “fino al 5%” con quella nuova. Con il “margine” che gli rimane dovrà pagare tutte le spese del negozio, le utenze, le spese di funzionamento, il personale, il sacchetto e la carta da regalo, le attività culturali (che non farà pagare ai propri lettori), i professionisti che lo sostengono per avere una contabilità in ordine e per pagare imposte e tasse dovute.

    Insomma, su 100 euro di venduto a prezzo di copertina, al libraio potranno rimanere tra € 27, se gli va bene, e € 12, se gli va male. Con la precedente legge è quasi impossibile vendere un libro a prezzo di copertina. Il più delle volte, acquistando un libro con il 15 % di sconto, al lettore rimane un guadagno (diciamo così) maggiore che al libraio. Così il libraio non riesce più a coprire le spese…e dopo un po’ chiude. E il lettore potrà comprare i suoi libri solo sulle piattaforme on line.

    I problemi del mondo del libro sono più complessi naturalmente e soggetti a molte variabili. Tanto per dirne una, l’abbassamento delle tirature rende più difficile all’editore stabilire il giusto prezzo di copertina. Ma vogliamo parlare del problema della distribuzione che ormai costa troppo per l’editore e per il libraio?

    Questa nuova legge potrebbe rappresentare una buona occasione per riflettere su quanto vale un libro. E per mettere in discussione abitudini ormai consolidate nei consumatori (perché i lettori sono anche tali): avere il massimo, al costo minimo e subito. Siamo sicuri che questo sia un modello sostenibile? Che questi tre aspetti debbano prevalere sulla qualità del prodotto e del servizio di vendita ad esso collegato? Non solo per i libri intendo dire. Quanto ci costa questo modello sul medio-lungo periodo? Quali costi economici e sociali trascina con sé? Vogliamo occuparci della qualità e non della quantità?
    Abbiamo vinto la battaglia sui rifiuti, imparando a separare e smaltire e pagando un po’ di più nella consapevolezza che il futuro costa. Abbiamo imparato che è meglio consumare meno cibo, ma di migliore qualità perché fa bene alla nostra salute. Possibile che non riusciamo ad avere comportamenti più virtuosi nel mondo dei libri? Quando smetteremo di “tirarci il collo” a vicenda? In un mondo ideale, l’editore dovrebbe applicare un prezzo “giusto” e tutti i soggetti che consentono di fare arrivare i libri al lettore dovrebbero avere una “giusta” e dignitosa remunerazione per il proprio lavoro. E i lettori pagare un prezzo “giusto” per il libro che desiderano leggere. Vogliamo avviare a questo obiettivo o almeno avvicinarci un poco? La vogliamo percorrere questa strada?
    Anche perché i librai non vogliono essere salvati. Vogliono poter lavorare con uguali condizioni di partenza e poter sviluppare la competizione (chiamiamola così) sul piano della qualità della loro offerta e del loro servizio.

    Samuele Bernardini
    Libreria Claudiana di Milano

    e

    Presidente
    LIM – Librerie Indipendenti Milano
    https://www.librerieindipendentimilano.net/

    Rispondi
    • Caro Samuele,

      prima di tutto grazie per questa replica. Come ho premesso, l’opinione dei librai indipendenti è fondamentale per capire e collocare questa legge; tanto più quindi se si tratta di un loro rappresentante “ufficiale” e di un libraio che conosco da anni e che dirige una delle migliori librerie milanesi (colgo l’occasione per ricordare un altro bravissimo libraio della Claudiana, il mio amico Gioachino, con cui avrei volentieri discusso a lungo su questa legge; cosa che purtroppo non potremo più fare).

      Mi concentrerò anch’io sulla questione del prezzo e dello sconto, anche se, come te, considero un fatto negativo che questo aspetto esaurisca o monopolizzi la discussione. Siccome ritengo la funzione delle librerie (e degli editori) indipendenti una funzione essenziale, mi fa solo piacere che si attui, con questa legge, una sorta di piccola redistribuzione di una quota del prezzo di copertina a favore dei librai (in realtà a favore della categoria: e non bisogna dimenticare che anche le librerie non sono tutte eguali). E capisco bene la tua osservazione su un prezzo fisso che si è trasformato in “prezzo consigliato”, con l’incertezza che grava sul libraio a proposito del ricavo che potrà realizzare (per me però questa trasformazione pone molti problemi sull’effettiva capacità del prezzo fisso di funzionare in una situazione di mercato come la nostra). E, infine, condivido profondamente lo spirito della tua domanda: “quando la smetteremo di tirarci il collo a vicenda” nella filiera del libro?

      Le mie principali obiezioni e osservazioni sono invece queste:

      1) per smettere “di tirarci il collo a vicenda”, non mi sembra una buona idea tirarlo a quelli che stanno (apparentemente) fuori dalla filiera, e ne subiscono le imposizioni e le imperfezioni, cioè i lettori, che anch’io non chiamo né considero semplicemente “clienti”. I quali lettori credo sarebbero stati in buona parte disponibili a firmare dei “contratti”, come tu dici, con la loro libreria preferita, per sostenere, con diverse e personalizzate modalità, la sua esistenza indipendente e il suo servizio di qualità. Ma non se questo contratto viene prescritto unilateralmente da una legge che passa sopra la loro testa come se nemmeno esistessero. Da rilevare anche che la legge impedisce, come violazione al tetto di sconto, qualunque operazione promozionale che il libraio decidesse liberamente di fare nei confronti del proprio lettore: tessere, abbonamenti, acquisti cumulativi, gruppi di acquisto, azioni di fidelizzazione ecc. Non mi risulta, invece, che “tutte” le librerie, prima della legge, effettuassero sconti alla clientela superiori al 5%; mi pare che questi fossero presenti soprattutto nelle librerie di catena e online, e anche qui non sempre.

      2) Il prezzo è davvero “fisso” e “certo”? Solo nella sua composizione finale. Anche con questa legge, infatti, la scontistica non regolamentata permane in altri segmenti della filiera. Per esempio sul costo di distribuzione, che rappresenta anche il 60% del prezzo di copertina, si verificano spesso sconti fino al 40% in base alla quantità, di cui beneficiano soprattutto i grandi editori. Non parliamo del compenso agli autori, soggetto a innumerevoli variabili. Quindi non mi sembra che questa legge rappresenti, in generale, un passo verso l’equità, che è l’unica premessa per non “tirarsi il collo” a vicenda. Né che ubbidisca a un principio riformatore chiaro, trasparente, condivisibile, che possa incidere realmente sulla “fabbrica del libro” e sulle sue storture.

      3) Va detto che la tendenza del prezzo medio del libro dal 2016 è in aumento, dopo alcuni anni di stasi; nel 2018 è salito del 3,8% rispetto all’anno precedente, ben più dell’inflazione (Fonte: AIE, p. 18). Tale tendenza trova conferma nel raffronto tra calo delle vendite e aumento degli incassi, come rileva quest’articolo del Post. I sostenitori della legge scommettono sulla diminuzione del prezzo come risultato della limitazione degli sconti, ma non c’è alcuna base certa in questa previsione. Quello che è sicuro è che il fatturato degli editori è in aumento da 4 anni; i lettori hanno visto invece erodersi il loro potere di acquisto grazie all’aumento del prezzo e alla diminuzione degli sconti, già introdotta dalla legge Levi.

      4) Non mi persuade del tutto il ragionamento che abbozzi sulle abitudini dei lettori, che andrebbero resi più “responsabili” e meno inclini al “tutto e subito”. Se la polemica è contro gli “acquisti di impulso”, su cui peraltro la filiera prospera, ok, condivido, pur essendo un grande impulsivo in fatto di acquisti di libri. Sono, anche, da sempre, un fautore dell’ecologia della lettura e della sostenibilità libraria e bibliotecaria (per esempio non trovo, come invece affermano molti analisti dell’editoria, che la crescita del numero dei titoli pubblicati sia, di per sé, un fattore progressivo). Ma non vedo perché i lettori dovrebbero accettare sistemi di approvvigionamento che richiedono lunghi tempi di attesa, prezzi alti, diminuzione della vita media e conseguente indisponibilità dei titoli, pellegrinaggi inutili in librerie fornite solo degli ultimi bestseller ecc. ecc.: mi sembra quasi una sorta di austerità libraria, e molto (auto)punitiva. Il principio della coda lunga, su cui si regge il commercio online, non è il risultato della perfidia di Amazon, ma un dato di fatto, e forse anche un possibile modello di mercato alternativo, se l’ossimoro lo consentisse. Che le librerie dovrebbero sfruttare attraverso la piena integrazione digitale dei loro servizi, o al contrario valorizzando la loro differenza, per esempio il vantaggio di prossimità (intendo la relazione di prossimità) che esse possiedono; cosa che non sempre accade.

      5) È certamente vero che “il massimo, al costo minimo e subito” non deve essere perseguito “a scapito” della qualità. Almeno in parte, però, costituisce una componente della qualità “tecnica” del prodotto e della sua distribuzione. Ma proviamo ad affrontare anche il discorso sulla qualità a tutto tondo, come tu giustamente auspichi. E rovescio la tua domanda: siamo sicuri che questa legge favorirà la qualità, l’indipendenza e la “bibliodiversità” dell’offerta editoriale? Io no, anzi ho fondati dubbi al riguardo. La limitazione degli sconti, da sola, non lo farà, credo che su questo possiamo concordare; e nella legge non c’è nulla che tocchi strutturalmente i problemi e le distorsioni dell’editoria italiana, nulla contro la concentrazione, il moloch distributivo, nulla a favore della dignità e della professionalità di chi lavora nel settore; e, nonostante le nobili intenzioni, nulla che affronti seriamente l’ecosistema della lettura. Quella parte della legge che potrebbe avere qualche ricaduta indiretta sulla qualità (come le iniziative formative nelle biblioteche scolastiche, le misure fiscali a favore delle librerie e il marchio delle librerie di qualità) è affidata ai successivi decreti applicativi e quindi dobbiamo attendere la definizione effettiva dei provvedimenti. Il sospetto è che finiscano con il rafforzare il sistema esistente.

      6) In conclusione, non mi pare quindi che si possa dire trionfalisticamente che “da oggi il libraio indipendente potrà essere messo nella condizione di poter competere alla pari con le grandi catene e con i negozi on line”, come si legge per esempio sulla pagina dell’editore Sinnos (tu invece sei molto più saggio e moderato 😊). Credo che la sproporzione di forze, di mezzi, e, qualche volta, anche di idee, rimarrà tutta. Non voglio neanche esagerare la portata dei “due euro di sconto in meno” (ho già detto nel post come la cosa pesi economicamente molto di più sulle tasche del lettore forte; aggiungo che porre la questione in termini così “spiccioli” – come fa il citato post fin dal titolo: Al lettore che perde lo sconto sui libri e che per questo non leggerà più – mi sembra indicativo di un modo poco rispettoso di rivolgersi al lettore: quel lettore lì, che perde lo sconto e allora smette di leggere, non è esistito e non esisterà mai, è una caricatura di comodo).

      È quindi l’impianto complessivo della legge che non mi convince. Ma sarò felice di ricredermi se le librerie indipendenti e i piccoli editori di qualità avranno dei reali vantaggi competitivi che andranno, come non può non essere, anche a beneficio dei lettori.

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  2. Quando iniziarono a funzionare i supermercati, i piccoli e medi alimentari cominciarono a “vederla brutta”. Sorse forse qualche legge al rispetto? Quando i centri commerciali iniziarono a “prolificare”, i negozi del centrocittà cominciarono a fallire. Sorse forse qualche legge al rispetto? Da qualche tempo succede che sui libri, soprattutto il loro costo, si delibera. Al tempo stesso i libri costano sempre di più, e in tutto il mondo, salvo forse negli Stati Uniti, dove tra l’altro la percentuale di libri fuori catalogo è abbastanza ridotta. Io sono uno di quei lettori “forti”, a cui piace inoltre anche il libro bello, di buona fattura e con le pagine di ottima qualità di carta, durabile. Posso arrivare a leggere anche 200 libri l’anno. Non la tengo certo facile; sono stato costretto a ridurre gli acquisti dei libri cartacei, purtroppo. E penso proprio che in questa direzione vada la nuova legge, tanto i lettori tradizionali, quelli abituati al libro di carta poco a poco se ne andranno via, e quelli che restano sono i nati nell’era digitale e sosterranno l’industria comprado e-books che per adesso sono, in proporzione, ancora cari ma in futuro il bilancio generale farà calare i loro prezzi. Ave Caesar, “librituri” te salutant! Umberto Eco si rivolterà certo nella tomba, ma gli editori continueranno a vendere, e senza il “travaglio” di stampare. Non è successo daltronde così anche con la musica?

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  3. Ho scritto direttamente alla firmataria della legge, l’onorevole Piccoli. Una mattina durante il lockdown hi ricevuto una sua chiamata ed abbiamo avuto un’accesa discussione sulla quasi totale inutilità di questa legge. Come lettore forte ho già trovato un metodo per aggirare la politica del mancato sconto. Trovo la difesa delle librerie una assurdità. Non considerando la maggioranza delle librerie luoghi di Cultura ma solo semplici negozi continuerò ad acquistare i miei volumi su Amazon e su tutte quelle piattaforme che mi permettano l’applicazione di sconti e voucher variamente “guadagnati”. Anche chi vende i libri come chi vende altri prodotti è destinato a scomparire soppiantato dall’e-commerce.

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