«Leggo. Scopro che
il termine esatto è livor mortis»
la chiave di lettura
Fonte: Antonella Anedda, Historiae, loc. 196, ed. elettr. La poesia è leggibile anche qui.
In quest’estate che ha perso anche la capacità di nominare le tragedie e le ingiustizie che ci affliggono e che scorrono come note distratte in una riga di cronaca o in una battuta su Facebook, mi sono capitati sotto gli occhi alcuni versi di Antonella Anedda, intitolati Esilii. E già questo episodio rammenta, anche a chi legge per vizio impunito o fedeltà assoluta, che non è sempre lui a scegliere, né il momento né il contenuto: la lettura, talvolta, accade, senza deliberazione e senza preavviso, e solo così le è permesso di pensare l’impensato e di effettuare delle vere “scoperte”. Nel caso della mia, di scoperta, i versi stavano su una locandina in formato A4, attaccata con un rigo di scotch alla vetrina di un negozio, e invitavano alla cerimonia di premiazione di un concorso di poesia.
Sono versi scritti nell’estate di qualche anno fa, a ribadire che quegli scogli – citati nell’epigrafe tacitiana: Plenum exiliis mare, infecti caedibus scopuli (*) – sono, non certo solo da oggi, coperti di sangue. E’ una poesia di quelle che si leggono a bocconi rapidi che gelano il fiato. Basta l’incipit: “Oggi penso a due dei tanti morti affogati / a pochi metri da queste coste soleggiate / trovati sotto lo scafo, stretti, abbracciati”. E prosegue con la digressione del dettaglio apparentemente insignificante: “Mi chiedo se sulle ossa crescerà il corallo / e cosa ne sarà del sangue dentro il sale, / allora studio …”. Nella chimica perfetta di questi e dei successivi versi è già scritto tutto: la tragedia, l’ingiustizia, l’obbrobrio eterno dei colpevoli, degli indifferenti (odiati da Gramsci), degli ignavi (condannati da Dante).
Ma molto resta da dire sulla lettura. Perché sono anche versi sulla lettura, e dei migliori di questi anni. E allora studio: qui è descritto il riflesso pavloviano del lettore; la disperata ricerca di un senso, o almeno di una consolazione, di una via di fuga; il ricorso immediato, obbligatorio, all’indagine, all’approfondimento, alla detection. Non ci sarebbe bisogno di una prova, non ci sarebbe niente da aggiungere, purtroppo, ma il lettore è sempre uno che dannatamente non si accontenta, e non per spocchia o vanagloria, come i tanti che non leggono (poveri loro, beati loro) insistono a fraintendere, ma per il puro piacere, e la dolorosa necessità, di leggere e di sapere, di leggere quindi anche il manuale di medicina legale, le cronache, le tecniche, le istruzioni degli elettrodomestici, i volantini dell’iniziativa parrocchiale, la mappa della metropolitana. E a questa lettura quotidiana, in apparenza ordinaria, si accompagna quella parola antica, “studio”, e proprio nel suo significato antico, latino: voce del verbo amare, anzi ardere, come il greco skholé aveva alle origini il significato del suo attuale contrario, e cioè ozio, tempo libero.
E infatti eccola lì, negli ultimi versi, la parola chiave: “leggo“. Emerge con piglio naturale, come primo contraccolpo dello sgomento, subito seguita dal suo esito desiderato: “Scopro”. “Scopro che il termine esatto è livor mortis”. Perché c’è rigor, c’è algor e c’è anche livor, altrettante tappe nella trasformazione del cadavere, che ormai “vive” di vita propria. Nel significato di livor (anche in latino) oltre a livido c’è livore, c’è la rabbia che sale, testimoniata dalle chiazze rosse, e poi dalla decolorazione, dal pallore. E dunque il “leggo” richiama, con il suo incedere a metà tra l’indicativo e l’imperativo, le letture ab irato, brechtiane (per esempio, p. 132) o fortiniane (per es. loc. 2128-2133 dell’ediz. elettr.): è una linea retta che parte dal libro, attraversa il cervello e la bile e chiama a raccolta le braccia e gli abbracci dei simili, dei fratelli, dei complici.
“Il sangue si raccoglie in basso e si raggruma / prima rosso poi livido, infine si fa polvere / e può, sì sciogliersi nel sale“. Ecco la risposta della scienza, dello studio. Ma il lettore non ha dubbi: non c’è scioglimento possibile, la pagina è incisa nella mente, il libro è sempre aperto. Non c’è pace senza giustizia. Non c’è perdono senza memoria. Non c’è tregua senza lotta. Non c’è più sale nel mare: solo sangue.

(*) “pieno di esilî il mare, insanguinati da stragi gli scogli”.
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